domenica 16 giugno 2013

RIFLESSIONE SULLE POLITICHE CREDITIZIE DELLE BANCHE

Da LA RIVIERA del 16 giugno 2013
 




E' ormai opinione comune che, tra le cause principali della fase recessiva che sta attraversando in modo trasversale tutte le economie del mondo occidentale, ci siano le politiche creditizie delle banche. Gli stessi rapporti annuali sullo stato dell'economia e della finanza diffusi periodicamente dalla Banca d'Italia registrano una netta contrazione del credito bancario a piccole e medie imprese, spina dorsale del settore industriale, e l'aumento delle sofferenze bancarie, ovverosia delle insolvenze dei debitori morosi delle banche sia nel settore delle famiglie che in quello delle imprese. Le banche, contando sul loro indubbio potere istituzionale, hanno ritenuto sempre più conveniente agire come investitori e speculatori sui mercati finanziari piuttosto che rischiare capitali nel sostegno all’attività di impresa. Sono stati "lavorati" prodotti obbligazionari di dubbia qualità, ci si è serviti della complicità dei sistemi di comunicazione on-line, della consapevolezza o della inconsapevolezza degli interlocutori. Ma “nell'altra parte del cielo", quello in cui vagano disorientati i cittadini, cosa è accaduto? In altri termini chi ha maggiore difficoltà economica e maggior bisogno di accedere al credito, sempre che gli venga accordato, sarà costretto a pagare di più, con la conseguenza che si alimenta e non si contrasta l'aggravarsi della crisi economica e di sistema.
A questo bisogna aggiungere che durante il ciclo della crisi vengono decise sempre misure a favore delle banche: ricapitalizzazione, la ristrutturazione e la gestione di asset a rischio, erogazione da parte della BCE alle banche europee di un credito  finalizzato al loro rifinanziamento illimitato, della durata di tre anni, ad un tasso agevolato del 1% fisso, taglio dei tassi di interesse allo 0,50% da parte della BCE ecc. . 
A voler essere pratici e dare uno sguardo ai nostri territori vale la premessa usata in altre occasioni: consideriamo la dimensione in cui operiamo, consideriamo che il volume degli investimenti pubblici e privati è notevolmente più ampio nel nord del Paese, osserviamo che gli stessi episodi di corruzione sono proporzionati, ahinoi, al denaro che circola. Naturalmente le banche hanno un ruolo insostituibile nel circuito economico, sanno di averlo, e dettano il ritmo.
Ma bisogna guardar ad altri aspetti altrettanto decisivi. L’imprenditore, ad esempio, si serve del denaro per farlo aumentare di valore e lo stesso deve fare la banca. Il problema è che l’imprenditore, che ha l'obbligo ed il dovere di garantire correttezza e pagamento, accetta le condizioni per il prestito e si indebita considerando di ricavarne di più. La banca, invece, ha quasi sempre le garanzie dalle banche centrali o trova, in qualsiasi circostanza, un paracadute attraverso i bond statali.
Nella Locride, per la verità, tanta voglia di intraprendere non la vediamo e nessuno sì aspetti per i prossimi anni una politica di incentivazione; la stagnazione dell’economia, gli inquinamenti, una politica lontana sono elementi che scoraggiano un imprenditore.
Sul banco degli imputati primeggiano le banche.
Ecco perché una politica degna di tale nome si mette al centro, controlla, a fianco degli organi di vigilanza preposti, che si rispettino regole e criteri di correttezza e di trasparenza, garantisce le infrastrutture, i servizi e la sicurezza, indirizza i cittadini verso attività produttive.
Una politica vera chiama le cose con nome e cognome. Il caso dell'imprenditore Dimasi, o dei tanti che sono rimasti colpiti come lui, chiama in causa i poteri dello Stato: quello giudiziario che fa le sentenze, quello legislativo che corregge le distorsioni, quello esecutivo che coordina le attività sul campo. Bisogna, quindi, pretendere una politica salva clienti oltre che salva banche. La politica non deve avere debolezze e compromissioni ma deve lavorare per ristabilire quel clima nel quale nessuno vive assediato, né imprese, né famiglie, né banche e dove nessuno opera pensando di danneggiare l'altro.
Pietro Crinò